La celiachia è un’intolleranza permanente al glutine del frumento e ad altri cereali quali orzo e segale.
In Italia ad oggi si ritiene che i celiaci siano circa 600.000, ma solamente 100.000 sono stati diagnosticati. L’assunzione di alimenti contenenti glutine causa reazioni avverse da parte del sistema immunitario con conseguente infiammazione cronica dell’intestino che si manifesta con diversi sintomi. La classica sintomatologia è rappresentata da calo di peso, gonfiore addominale, dolore addominale, diarrea, vomito e nei bambini arresto della crescita. Può essere frequente per il protrarsi del tempo di arrivo alla diagnosi, uno stato di carenza nutrizionale come causa del malassorbimento.
Nella valutazione dello stato nutrizionale può essere utile un approccio globale che considera oltre alla perdita di peso, il (BMI), l’assorbimento intestinale e il metabolismo basale, anche alcuni parametri della composizione corporea come la BCM Massa cellulare, l’ECW Fluidi extracellulari, l’ICW Fluidi Intracellulari e l’esame dinamometrico Hand Grip Strenght eseguito con l’apposito dinamometro.
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Celiachia e autoimmunità: tiroide come target primario
A cura del Dott. Giovanni Borghini – nutriprof
La celiachia è una delle malattie croniche più comuni dell’infanzia, che colpisce circa il 0,5-3% della popolazione nel mondo occidentale. Essa è caratterizzata da una risposta autoimmune innescata dal glutine o da altri cofattori ambientali quali lo stress o un infezione virale, apportando lesioni a carico della mucosa dell’intestino tenue.
Questa condizione a sua volta porta a malassorbimento con manifestazione clinica alquanto variabile, che spazia dal nessun sintomo a grave malnutrizione. La malattia può avere insorgenza a qualsiasi età e durare per tutta la vita.
Oggigiorno è risaputo che alla base della malattia celiaca vi è una predisposizione genetica, ossia bisogna essere portatori degli aplotipi DQ2 e/o DQ8 HLA, la cui prevalenza nella popolazione italiana è dello 0,27%, con 164.492 celiaci conclamati ed una differenza significativa tra maschi (0,16%) e femmine (0,37%).
Il 46% della popolazione celiaca italiana risulta residente al nord, il 22 % al centro, il 19 % al sud ed infine il 13 % nelle isole. La Regione dove sono concentrati più celiaci risulta la Lombardia, con il 17.4 %, seguita da Lazio con il 10.1% e Campania con il 9.4%.
La presenza degli aplotipi HLA DQ2 e / o DQ8 rappresenta condizione necessaria ma non sufficiente per lo sviluppo della malattia. Infatti studi condotti su gemelli identici e fratelli suggeriscono che il contributo genetico HLA si attesti intorno al 50%, mentre il restante 50% è rappresentato dai fattori ambientali precipitanti (stress, alimentazione, virus, lattosio, attività fisica sbagliata, stile di vita scorretto…ecc).
Condizioni autoimmuni, tra cui le malattie della tiroide, come la tiroidite di Hashimoto e il morbo di Graves-Basedow sono strettamente associati con la malattia celiaca, con una prevalenza elevata nella popolazione generale italiana ed europea.
Alcuni studi hanno suggerito che la malattia celiaca non trattata o silente in soggetti geneticamente predisposti e quindi l’esposizione al glutine, con conseguente infiammazione e lesioni della mucosa, aumentino il rischio di sviluppare altre malattie
autoimmuni come quelle della tiroide e il diabete mellito insulino-dipendente.
Ventura e altri studiosi nel 2014 hanno dimostrato che i pazienti con malattia celiaca avevano un’alta prevalenza sia di insulino dipendenza-diabete mellito e sia di autoanticorpi contro la tiroide (tiroiditi).
Inoltre, questi autoanticorpi (anti-tireoglobulina, anti-microsomiali e anti-perossidasi) dovevano essere gluten-dipendenti, dal momento che sono scomparsi durante il trattamento con una dieta priva di glutine.
Questi risultati sollevano interrogativi sull’esistenza di risposte immunitarie anomale, a livello della mucosa intestinale, quando si è esposti ad antigeni ambientali, in grado di estendersi a livello sistemico, qualora sia presente una predisposizione genetica alla celiachia. Se pertanto la durata dell’esposizione al glutine è strettamente correlata allo sviluppo della malattia autoimmune, e se è vero che la diagnosi precoce e il trattamento della malattia riducono il rischio di sviluppare autoimmunità, allora bisogna puntare nella direzione dello screening di massa per la celiachia fin dall’ età più precoce o comunque il prima possibile.
Uno studio del 2014 ha voluto indagare la prevalenza di autoimmunità tiroidea in bambini di 12 anni con malattia celiaca rispetto ai referenti sesso abbinati non celiaci e verificare se l’introduzione precoce di una dieta privativa di glutine nei soggetti con predisposizione
genetica alla malattia celiaca riducesse il rischio di sviluppare malattie autoimmuni della tiroide. Un totale di 12.632 bambini (69% degli invitati) ha partecipato allo studio.
Sono stati analizzati i campioni di sangue prelevati da tutti i bambini partecipanti, con valutazione delle transglutaminasi tissutali, degli anticorpi anti-endomisio di classe Ig-a e degli anticorpi anti-perossidasi di classe Ig-a della tiroide.
I bambini con valori superiori a predefinito cut-off sono stati inviati alla clinica pediatrica più vicina per una piccola biopsia intestinale, che rappresenta il gold standard per la diagnosi della celiachia. Dopodichè è stata eseguita la genotipizzazione HLA DQ2/DQ8, riscontrata predittiva e positiva in tutti i soggetti con celiachia conclamata. Sottoponendo i bambini celiaci a dieta privativa di glutine per almeno 16 settimane è stato riscontrato nella maggior parte dei casi un sensibile abbassamento dei valori degli anticorpi anti-perossidasi di classe Ig-a, specifici per la diagnosi di tiroidite.
Ad oggi possiamo concludere che avere celiachia conclamata all’età di 12 anni aumenta il rischio di sviluppare altre malattie autoimmuni come la tiroidite, rispetto a bambini sani. Lo screening genetico di massa, con la ricerca degli aplotipi DQ2-DQ8 HLA, e la dieta privativa o a ridotto contenuto di glutine potrebbero rappresentare un valido strumento di identificazione precoce dei soggetti a rischio di tiroidite, permettendo loro di effettuare una prevenzione primaria potenzialmente efficace, modificando la loro dieta.
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