E’ noto che tra le cause che provocano problemi di salute vi è l’eccessiva esposizione agli estrogeni provenienti sia da fonti endogene che esogene. Migliorare il metabolismo degli estrogeni attraverso la dieta, lo stile di vita, la riduzione della FM massa grassa, l’aumento della BCM Massa cellulare e dell’attività fisica, può portare un notevole beneficio.

Gli estrogeni influenzano la crescita, la differenziazione e la funzione di diversi tessuti bersaglio in tutto il corpo. Inoltre svolgono un importante ruolo nella formazione e nel mantenimento delle ossa, della FFM Massa Magra, della Massa cellulare BCM.
Studi scientifici sostengono che la riduzione della BCM Massa cellulare e del tessuto muscolare può essere in linea con la diminuzione degli estrogeni che caratterizza ad esempio il periodo della menopausa. La diminuzione di estrogeni contribuisce inoltre alla perdita di densità minerale ossea, alla redistribuzione del grasso sottocutaneo nella zona viscerale e all’aumento del rischio di malattie cardiovascolari con conseguente diminuzione della qualità della vita.

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Influenza di molecole endogene ed esogene nella donna e nell’uomo

di Giuseppe Seripierri – vivereinforma

Gli estrogeni sono ormoni steroidei femminili, ma rivestono importanti funzioni anche nel maschio. Essi sono prodotti a partire dagli androgeni, mediante una conversione enzimatica catalizzata dall’enzima aromatasi, una ossidasi a funzione mista, appartenente alla famiglia dei citocromi P450, così chiamata perché catalizza la trasformazione dell’anello ciclico a degli steroidi in un anello aromatico (o benzenico), oltre a rimuovere il carbonio metilico c19 dalla struttura steroidea.

Nella donna, gran parte di questa conversione enzimatica avviene a livello delle ovaie e, durante la gravidanza, nel corpo luteo mentre nell’uomo avviene soprattutto a livello del tessuto adiposo, tessuto che presenta la più alta concentrazione di aromatasi. L’aromatasi è espressa, oltre che nelle gonadi (sia maschili che femminili) e nel tessuto adiposo, anche a livello epatico, muscolare, a livello del sistema nervoso centrale ed a livello osteo-articolare (dove riveste importanti funzioni nella mineralizzazione ossea e nell’idratazione delle cartilagini articolari). I principali estrogeni prodotti dall’organismo sono, in ordine di “potenza” (ovvero di affinità recettoriale): estradiolo, estrone ed estriolo (essendo il primo circa 80 volte più potente dell’ultimo). L’estradiolo viene sintetizzato a partire dall’aromatizzazione del testosterone, l’estrone dall’aromatizzazione dell’androstenedione, mentre l’estriolo viene sintetizzato, durante la gravidanza, a partire dal 16-idrossi-deidroepiandrosterone solfato (16-OH-DHEAS), blando androgeno prodotto dal feto. Questi tre ormoni possono essere inoltre interconvertiti ad opera di ossido/reduttasi steroidee. Trattandosi di ormoni steroidei, gli estrogeni viaggiano nel circolo ematico in gran parte legati alle proteine plasmatiche SHBG ed albumina, mentre in minima percentuale si trovano in forma libera, biologicamente attiva (circa il 2% per l’estradiolo).

Recettori per gli estrogeni

Esistono due categorie di recettori estrogenici: gli ER, situati all’interno delle cellule e responsabili della mediazione degli effetti genomici, a lungo termine, degli estrogeni e i GPER, recettori di superficie accoppiati a proteine G, in grado di determinare effetti rapidi, di tipo non genomico. A loro volta gli ER si suddividono in due isoforme: ER-α ed ER-β, diversamente implicati nella genesi di patologie ormone-sensibili e con distribuzione tessuto-specifica. Gli ER-α si ritrovano soprattutto nell’endometrio, nello stroma ovarico, nei dotti efferenti e nella prostata (nel maschio), nell’ipotalamo e nelle cellule mammarie cancerose. Gli ER-β sono espressi prevalentemente nelle cellule della granulosa dell’ovaio, nel cervello, nei reni, nell’endotelio vascolare, nei polmoni, nell’intestino, nel cuore, nelle ossa e nella prostata. L’estradiolo lega con la stessa affinità entrambi i recettori, l’estrone prevalentemente gli ER-α e l’estriolo gli ER-β. I recettori estrogenici possono essere attivati anche da composti esogeni, come xenoestrogeni e fitoestrogeni, che tratteremo in seguito.

Metabolismo degli estrogeni

Gli estrogeni vanno incontro a diverse reazioni metaboliche, per lo più a livello epatico, atte ad incrementarne la velocità di escrezione da parte dell’organismo (clearance), che avviene per la maggior parte a livello renale (tramite le urine) ed in minor parte a livello enterico (tramite le feci). Queste reazioni mirano ad aumentarne la solubilità plasmatica, consentendo a questi ormoni di essere filtrati attraverso i capillari glomerulari del nefrone. Esse consistono in: reazioni di idrossilazione, reazioni di metilazione, reazioni di glucuronidazione e reazioni di solfatazione.

Idrossilazione

È la prima fase della degradazione degli estrogeni endogeni. Consiste nell’addizione di un gruppo ossidrile (-OH) sulla struttura degli estrogeni, a livello epatico, catalizzata da enzimi appartenenti alla famiglia dei citocromi p450. L’ossidrile può essere aggiunto sia in posizione 2, ottenendo metaboliti 2-idrossilati (2-OH), sia in posizione 16-alfa, ottenendo metaboliti 16-alfa-idrossilati (16-alfa-OH), sia in posizione 4, ottenendo metaboliti 4-idrossilati (4-OH). I metaboliti 2-OH possiedono un’azione estrogenica debole e vengono genericamente definiti estrogeni “buoni”, mentre i metaboliti 16-alfa-OH (in particolare il 16-alfa-OH-estrone) e 4-OH possiedono una forte azione estrogenica, promuovendo la proliferazione tissutale, soprattutto nei tessuti cancerosi estrogeno-sensibili e vengono definiti pertanto estrogeni “cattivi”. I metaboliti 16-alfa potrebbero avere anche, oltre agli stimoli proliferativi cellulari, ruoli genotossici diretti nella genesi dei tumori. Si è visto che le donne che presentano un metabolismo estrogenico con rapporto a favore della 16-alfa idrossilazionehanno un rischio di sviluppare carcinoma mammario significativamente più elevato rispetto alle donne che metabolizzano gli estrogeni preferenzialmente mediante la via della 2-idrossilazione. Questo sbilanciamento nel metabolismo estrogenico è importante anche in altre patologie estrogeno dipendenti.

Metilazione

I metaboliti 2-OH e 4-OH sono anche detti catecol-estrogeni, in quanto presentano una struttura che richiama il catecolo, l’anello fenolico che caratterizza strutturalmente anche le catecolamine. Sebbene possiedano debole attività estrogenica, questi due metaboliti sono facilmente suscettibili all’ossidazione, portando alla formazione di chinoni, strutture derivanti dall’ossidazione dell’anello aromatico, estremamente reattive e facilmente suscettibili a loro volta ad ossidazione, che genera radicali liberi dell’ossigeno (ROS), in grado di indurre potenzialmente carcinogenesi, danneggiando il DNA e le strutture cellulari. Queste reazioni dannose vengono in parte prevenute grazie all’aggiunta di un gruppo metilico sull’ossidrile dei metaboliti 2-OH e 4-OH estrogeni, ad opera degli enzimi COMT (catecol-ossi-metil-transferasi). Le COMT sono enzimi ubiquitari, venendosi a trovare nella maggior parte dei tessuti, deputate alla degradazione delle catecolamine (insieme alle monoammino ossidasi). Esse richiedono come cofattori s-adenosil-metionina (SAME) e ioni magnesio. L’aggiunta di un metile ai 2-OH e 4-OH estrogeni previene la formazione di chinoni e radicali liberi, rendendo inoltre questi metaboliti più solubili nel plasma. Alcune evidenze supportano effetti benefici sul carcinoma mammario esercitati dal 2-metossi-estrone, che indurrebbe apoptosi nelle cellule cancerose. Tutto ciò evidenzia l’importanza di questa via metabolica di degradazione degli estrogeni, che andrebbe favorita.

Glucuronidazione

Le reazioni di glucuronidazione consistono nella coniugazione di un composto con acido glucuronico, ad opera di enzimi epatici definiti glucuronil-transferasi. Queste reazioni riguardano una vasta gamma di composti, sia esogeni che endogeni, quali ormoni, metaboliti, farmaci ed altri composti xenobiotici. La glucuronidazione (insieme alla solfatazione) incrementa la solubilità plasmatica di un composto, facilitandone l’escrezione renale ed intestinale. Gli ormoni steroidei, estrogeni compresi, sono soggetti a glucuronidazione epatica. Tuttavia, esistono alcuni ceppi batterici, che albergano nell’ultimo tratto dell’intestino, in grado di esprimere un enzima, la beta-glucuronidasi, che scinde il legame tra composto ed acido glucuronico, riducendo la clearance del primo. Un’eccessiva attività di questo enzima a livello intestinale è stata associata ad un maggior rischio di cancro, compreso il carcinoma mammario. Le alterazioni della normale flora intestinale (ad esempio dovuta a diete povere di fibre o all’abuso di antibiotici) possono indurre la prevalenza di ceppi batterici che esprimono tale enzima sui batteri “benefici”.

Xenoestrogeni

Il termine xenoestrogeni (dal greco “xenos”, che significa “straniero”, “estraneo”) fa riferimento ad una classe di composti, naturali e sintetici, che presentano una certa affinità con i recettori estrogenici, esercitando a tutti gli effetti, nell’organismo, azione estrogenica, mimando le funzioni degli estrogeni endogeni. Gli xenoestrogeni sintetici comprendono molecole utilizzate in diverse lavorazioni industriali, quali il bisfenolo a (BPA), i bifenilipoliclorurati (PCB) e gli ftalati presenti nelle plastiche, pesticidi ed erbicidi largamente utilizzati nell’agricoltura intensiva, quali l’atrazina, il glifosato ed il dimethoate, diversi surfattanti e tensioattivi contenuti in detergenti e cosmetici ed infine farmaci (benzestrolo, dietilstilbestrolo, etinilestradiolo, ecc.), alcuni dei quali utilizzati come contraccettivi orali, altri, come lo zeranolo, spesso somministrati ad animali da allevamento, per incrementarne il grasso corporeo e la ritenzione idrica. Gli xenoestrogeni naturali si ritrovano soprattutto in alcune piante ed i loro frutti e sono detti fitoestrogeni. Altri composti ad azione estrogenica sono rappresentati da alcune micotossine, quali lo zearalenone.

Fitoestrogeni

I fitoestrogeni sono una classe di composti vegetali in grado di legarsi agli ER, esercitando azione estrogenica o anti-estrogenica. L’azione anti-estrogenica si ha nel momento in cui il composto esogeno presenta una debole attività estrogenica ma una maggiore affinità di legame verso gli ER di determinati tessuti. Se quindi un fitoestrogeno con blanda attività estrogenica lega gli ER di un tessuto, impedendo che lo faccia un estrogeno endogeno più potente (quale l’estradiolo), il risultato finale sarà un’azione anti-estrogenica del composto su quel tessuto. In questo, alcuni fitoestrogeni sono molto simili ai SERM (“selective estrogen receptor modulators”), farmaci, quali il tamoxifene, il raloxifene ed il clomifene, utilizzati per il trattamento del carcinoma mammario estrogeno-dipendente o per indurre l’ovulazione. Alcuni fitoestrogeni incrementano la produzione epatica di SHBG (globuline leganti gli ormoni sessuali), altri incrementano o riducono l’attività dell’enzima aromatasi, altri ancora sono in grado di favorire la formazione di metaboliti estrogenici 2-idrossilati (estrogeni “buoni”) a discapito dei metaboliti 16-alfa idrossilati (estrogeni “cattiTra i fitoestrogeni, la classe di composti più importante dal punto di vista endocrino è rappresentata dagli isoflavoni. Gli isoflavoni sono una sottoclasse di composti fenolici appartenenti alla classe dei flavonoidi. Tra questi, degni di rilievo per la loro azione estrogenica, figurano: la genisteina, la daidzeina, il cumestrolo e la puerarina. Questi composti si trovano in diversi prodotti di origine vegetale, quali leguminose e radice di liquirizia, ma soprattutto nella soia e nei prodotti che da essa derivano. Pur essendoci ancora controversie a riguardo, gran parte degli studi epidemiologici, molti dei quali condotti su popolazioni asiatiche (in cui vi è il più alto consumo di soia), ha evidenziato il ruolo protettivo degli isoflavoni della soia nei confronti del carcinoma mammario ormone-dipendente.

L’assunzione di isoflavoni della soia nelle donne, sia prima che dopo la menopausa, riduce i metaboliti con effetti genotossici degli estrogeni, ovvero i metaboliti 16-alfa e 4 idrossilati, aumentando il rapporto 2-OH/16-alfa-OH, ovvero favorendo la prevalenza degli estrogeni “buoni”. Inoltre, gli isoflavoni della soia incrementano la sintesi epatica di SHBG, riducendo la quota di estrogeni liberi e biologicamente attivi. Quest’ultima azione, unita alla blanda azione antiestrogenica su alcuni tessuti, consente di migliorare, in alcuni casi, i sintomi della sindrome pre-mestruale, condizione spesso caratterizzata da una situazione di “dominanza estrogenica”, ovvero di un alterato rapporto tra estrogeni e progesterone a favore dei primi. Nell’uomo invece, l’assunzione di soia e derivati può compromettere la normale produzione di testosterone e causare altri effetti collaterali sul sistema endocrino In particolare, è da considerare l’azione estrogenica ed antiandrogena di un metabolita della daidzeina: l’equolo. Questo composto, in alcuni studi condotti su modelli animali, ha dimostrato un’affinità per gli er alla pari dell’estradiolo. La sua azione antiandrogena è dovuta alla forte affinità per il diidrotestosterone (DHT), ormone androgeno per eccellenza, responsabile dello sviluppo dei caratteri e degli organi sessuali maschili. L’equolo è in grado di legare il DHT plasmatico, inibendone il legame con i recettori androgeni. Diversi altri studi hanno dimostrato come l’assunzione prolungata di soia e derivati possa ridurre i livelli di testosterone, di diidrotestosterone, il rapporto dht/testosterone e compromettere la fertilità nel maschio. Tra i potenziali effetti collaterali figurano anche calo di libido, impotenza e ginecomastia.

Altri fitoestrogeni degni di rilievo comprendono il resveratrolo, l’indolo-3-carbinolo ed i lignani. Il resveratrolo è un flavonoide molto abbondante nell’uva e nel vino rosso. Questo composto ha mostrato proprietà antiproliferative nei confronti di cellule cancerose, in particolare nei tumori mammari estrogeno dipendenti. Il resveratrolo è in grado di legare con pari affinità gli ER-α e ER-β, esercitando sia effetti estrogenici che antiestrogenici, oltre che antinfiammatori e cardioprotettivi. L’indolo-3-carbinolo è un composto molto abbondante nelle crucifere, quali i broccoli. Questo composto ed in particolare il suo metabolita diindolilmetano promuovono la produzione di metaboliti estrogenici 2-idrossilati (estrogeni “buoni”) a discapito dei metaboliti 16-alfa e 4-idrossilati (estrogeni “cattivi”), inducendo l’espressione di enzimi quali il citocromo CYP1A1. Inoltre, sono in grado di ridurre l’espressione genica di alcuni geni attivati dallo stimolo degli er-alfa, in particolare di geni coinvolti nella genesi del carcinoma mammario estrogeno-dipendente, di competere con gli estrogeni endogeni per il legame recettoriale e di favorire la detossificazione da composti xenoestrogeni. I lignani sono composti polifenolici che si ritrovano in diversi vegetali, leguminose, cereali integrali, ma soprattutto in alcuni olii di semi, in particolare l’olio di semi di lino. Alcuni di essi, come l’enterolattone, hanno mostrato proprietà inibenti l’enzima aromatasi, riducendo la conversione di testosterone in estradiolo ed androstenedione in estrone. Altri invece, sembrano incrementare la sintesi epatica di SHBG, riducendo la quota di estrogeni liberi plasmatici (ma anche di androgeni). In entrambi i casi, l’effetto sulle donne che presentano irregolarità del ciclo mestruale o sindrome premestruale sembra essere positivo.

Altri fattori nutrizionali coinvolti nel metabolismo degli estrogeni

Esistono diversi altri composti che, pur non interagendo direttamente con i recettori estrogenici, sono in grado di influenzare il metabolismo e l’azione degli estrogeni. Abbiamo precedentemente visto le reazioni coinvolte nel metabolismo degli estrogeni. Tra queste, le reazioni di metilazione, operate dagli enzimi COMT, inducono la degradazione dei catecol-estrogeni, prevenendo la formazione di radicali liberi. Tutte le reazioni di metilazione nell’organismo, richiedono cofattori essenziali, quali gli ioni magnesio, s-adenosil-metionina e soprattutto vitamine del complesso B, in particolare B12 e folati. La supplementazione di questi microelementi può favorire un corretto metabolismo degli estrogeni. Del complesso B inoltre, la vitamina B6 sembra attenuare la risposta genica mediata dagli ER. La seconda fase del metabolismo degli estrogeni è rappresentata dalle reazioni di glucuronidazione, atte ad incrementare la solubilità plasmatica di questi ormoni e quindi facilitarne l’eliminazione. Alcuni ceppi batterici commensali intestinali sono in grado di scindere il legame tra gli estrogeni e l’acido glucuronico, mediante l’enzima beta-glucuronidasi, facilitando il ritorno dei primi nel circolo ematico e rallentandone la clearance. Esistono composti, come il calcio D-glucarato, presente in diversi vegetali, specie le crucifere, in grado di inibire la beta-glucuronidasi e quindi facilitare l’escrezione di estrogeni, altri steroidi, xenobiotici e tossine. Il calcio D-glucarato inoltre, incrementa l’attività degli enzimi atti alla glucuronidazione. Tra i fitocomposti in grado di inibire l’enzima aromatasi figurano la crisina, un flavone molto abbondante nel miele, ma soprattutto la luteolina. La luteolina è un flavone presente in diversi vegetali, quali il timo, il tarassaco, la salvia, il finocchio ed il sedano. Questo composto è in grado di inibire la sintesi dell’enzima aromatasi e di favorirne la degradazione. In alcuni studi, la luteolina è stata addirittura paragonata a potenti inibitori dell’aromatasi farmaceutici, quali il 4-idrossi androstenedione (formestane), il letrozolo e l’aminoglutetimide. L’inibizione dell’aromatasi può favorire un miglior rapporto androgeni/estrogeni nell’uomo e migliorare condizioni di dominanza estrogenica, compresa la sindrome pre-mestruale, nella donna.

Anche la nicotina possiede una certa azione inibitoria nei confronti dell’aromatasi. L’assunzione, anche moderata, di alcol etilico, invece, stimola l’azione dell’enzima aromatasi, incrementando la conversione di androgeni in estrogeni, con effetti negativi sia nella donna, ma soprattutto nell’uomo, in cui altera il rapporto androgeni/estrogeni a favore dei secondi ed in più possiede effetti inibitori diretti, a livello testicolare, sulla produzione di testosterone e sulla spermatogenesi, mediati dallo stress ossidativo. Il primo step nel metabolismo dell’etanolo è mediato dall’enzima alcol deidrogenasi, una ossidoreduttasinad dipendente, che porta alla formazione di nadh nelle cellule epatiche, alterandone il potenziale redox, con conseguenze dirette su altre reazioni catalizzate da altreossidoriduttasi (quali l’aromatasi). Infine, diversi altri antiossidanti, quali le vitamine c ed e, la curcumina, l’n-acetilcisteina e l’acido alfa-lipoico, favoriscono i processi di detossificazione epatica, tra cui le reazioni di glucuronidazione ed ossidoriduzione coinvolte nel metabolismo degli estrogeni. L’alimentazione nel controllo degli estrogeni L’alimentazione nel complesso può giocare un ruolo fondamentale nel controllo degli estrogeni, sia per la presenza negli alimenti di sostanze in grado di alterarne il metabolismo e xenoestrogeni, sia per altri fattori. Prima di tutto, vanno evitati l’eccesso calorico e glucidico e l’eccessiva deposizione di grasso corporeo. Il tessuto adiposo infatti, rappresenta una delle sedi principali in cui è espressa l’enzima aromatasi, la cui espressione è ulteriormente stimolata da stati infiammatori cronici, mediante un altro enzima, la 11-beta idrossisteroide deidrogenasi 1, che converte l’inattivo cortisone in cortisolo. Il tessuto adiposo, specie viscerale, genera stati infiammatori cronici locali, mediante la secrezione di citochine infiammatorie, quali il tnf-alfa e l’interleuchina 6. Nell’uomo, l’eccesso di tessuto adiposo è associato ad ipogonadismo, iperestrogenismo e ridotta fertilità.

Nella donna invece, vi è un’aumentata probabilità di sviluppare carcinoma mammario estrogeno dipendente, oltre a diverse altre patologie, a causa della condizione di dominanza estrogenica. L’eccesso glucidico, mediante l’ipersecrezione insulinica, può causare una riduzione dei livelli di SHBG, incrementando la quota plasmatica di estrogeni liberi. Un’alimentazione mirata al controllo degli estrogeni deve essere povera di alimenti e cereali raffinati, zuccheri ed alcol, ricca di fibre ed ortaggi, in particolare di crucifere. Vanno consumate, possibilmente, frutta e verdura biologiche, non trattate, in quanto diversi pesticidi si comportano da disturbatori endocrini e xenoestrogeni. Attenzione anche alla provenienza delle carni, in quanto spesso trattate con farmaci quali lo zeranolo ed alla provenienza di prodotti a base di cereali e mais, in particolare di quest’ultimo, spesso contaminato da funghi che producono micotossine ad azione estrogenica, quali lo zearalenone.

Gli uomini dovrebbero anche prestare attenzione al consumo eccessivo di soia e derivati. Alcuni dei composti sopracitati, quali le vitamine del complesso B, il magnesio, il resveratrolo, l’indolo-3 carbinolo, la luteolina ed il calcio D-glucarato, sono disponibili sotto forma di integratori alimentari e possono rappresentare un valido aiuto nel controllare i livelli di estrogeni nell’organismo.

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