Un normale equilibrio tra Massa magra FFM, Massa cellulare BCM e grasso corporeo può essere associato ad un buono stato di salute. Un’elevata percentuale di grasso in eccesso in relazione alla  Massa cellulare BCM  riporta ad una condizione di aumentato rischio di malattie cardiovascolari, diabete etc.
L’analisi dell’impedenza bioelettrica
BIA (analizzatore BIA-Dex®) permette al professionista di intercettare anticipatamente l’eventuale squilibrio tra i vari compartimenti (In particolare BCM, ECW fluidi extracellulari e FM massa grassa)  al fine di intervenire precocemente attraverso un adeguato programma nutrizionale.
L’analisi BIA può riflettere le variazioni dello stato fisico del soggetto: al miglioramento dei parametri bioelettrici e dell’analisi della composizIone corporea, migliorano anche le condizioni nutrizionali e fisiche dell’individuo.

 

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Anche nei soggetti sottoposti a dieta chetogenica è di fondamentale importanza poter valutare le variazioni dell’Angolo di Fase φ PhA, del rapporto ECW/ICW e della Massa cellulare BCM.

Tipiche variazioni dei valori bioelettrici e della composizione corporea nei soggetti sottoposti a dieta chetogenica:

↑ Angolo di Fase (PA)
↓ Resistenza bioelettrica corporea (R)
↑ Reattanza bioelettrica corporea (Xc)
↓ Peso corporeo (BW)
↓ Massa grassa (FM)
↑ Massa cellulare (BCM)
↑ Fluidi Intracellulari (ICW)
↓ Rapporto ECW/ICW

 

mascaretti srl facilities – composizione corporea

 

Di Vivereinforma

La dieta chetogenica

Pre-premessa
Questo articolo vuole spiegare i meccanismi principali alla base delle fisiologia della dieta chetogenica, i risvolti che hanno nell’organismo e l’applicabilità di un regime a bassissimo tenore di carboidrati nella vita quotidiana, nonché in quella sportiva.

Per la sua lunghezza e per la presenza di sezioni frammentabili (parte teorica, parte pratica e parte applicativa) l’articolo sarà pubblicato in più parti (che non sono ancora pronte!).

Dico da subito che il libro dei libri sulla dieta chetogenica, una vera trattazione tecnica con oltre 600 riferimenti dalla letteratura scientifica, è The Ketogenic Diet. A Complete Guide for Dieters and Practiotioner. Nonostante abbia studiato a fondo quel libro consultandolo fino a consumarlo, integrandolo man mano con nuove informazioni che vi si potevano applicare (ricordo che il libro è del 1998), per ovvie ragioni qui faccio una compressione davvero enorme: vorrei parlare di tutto, ma per forza di cose devo tagliare qualcosa.

Invito chi volesse approfondire a consultare il libro suddetto, o per qualche scambio di idee a contattarmi in privato.

Premessa

Per quanto riguarda il mondo della nutrizione low-carb, chi ne parla (male) commette generalmente uno o più di questi errori:

  • affermare che non si può fare una dieta povera di carboidrati perché il cervello ha bisogno di 130-150 g di glucosio/die ed è l’unico combustibile che può utilizzare. Le stesse persone hanno pronunciato almeno una volta nella loro vita, per dissuadere qualcuno dalla scelta di una dieta low-carb, le parole “I grassi bruciano al fuoco dei carboidrati”;
  • affermare che i corpi chetonici che si accumulano portano ad un abbassamento del pH pericoloso o a chissà quale altro fantomatico problema;
  • affermare che il peso perso con una dieta low-carb sia costituito quasi solo da acqua e massa muscolare e che al ripristino della normale alimentazione tutti i chili persi vengono recuperati.

Vediamo ad uno ad uno dove cadono questi punti; alcuni dettagli, comunque, saranno ampliati nel prosieguo dell’articolo.

  • Per quanto riguarda il primo punto, innanzitutto il cervello può utilizzare un altro efficiente combustibile per i suoi processi metabolici: i corpi chetonici. Sono piccoli e leggeri, idrosolubili e possono passare la barriera ematoencefalica (la barriera di cellule che non permette il passaggio di tutte le sostanze dal sangue al sistema nervoso centrale); allettante per l’organismo: nessun trasportatore, nessun recettore, tutto molto ‘comodo’.
    In secondo luogo i grassi non bruciano solo al fuoco dei carboidrati: semplicemente, l’ossidazione completa dei grassi avviene se l’acetil-CoA prodotto nelle beta-ossidazione (processo con cui gli acidi grassi, passo dopo passo, si accorciano rilasciando acetil-CoA) può entrare nel ciclo di Krebs: questo è possibile solo se è disponibile l’ossalacetato, dunque in ultima istanza, glucosio. Se il glucosio scarseggia, semplicemente l’atecil-CoA si condensa a produrre corpi chetonici, che verranno poi utilizzati dai tessuti extraepatici.
  • Per quanto riguarda il rischio dell’acidosi durante una dieta povera di carboidrati, vediamo innanzitutto come nasce questa credenza. Negli individui con diabete mellito di tipo 1, le cellule beta del pancreas non sono in grado di produrre insulina e questo causa un’incapacità dei tessuti di utilizzare il glucosio, che si accumula nel sangue. Di conseguenza, il fegato comincia a produrre corpi chetonici per supportare i processi metabolici dei tessuti extraepatici. Il problema è che i tessuti diventano tanto più ‘abili’ nell’utilizzare un substrato energetico quanto più questo è disponibile e quanto meno il ‘preferito’ scarseggia: il preferito è il glucosio. Capite bene che se sia il glucosio che i corpi chetonici raggiungono alti livelli, i tessuti continuano a ‘voler’ utilizzare glucosio, non si adattano all’utilizzo dei corpi chetonici, dunque non utilizzano nessuno dei due.
    Se i corpi chetonici vengono prodotti in abbondanza dal fegato ma non vengono utilizzati dai tessuti, si accumulano rapidamente nel sangue causando una condizione potenzialmente fatale: la chetoacidosi diabetica. Il punto è che questo avviene esclusivamente nei soggetti con diabete mellito di tipo 1, ed i meccanismi non sono estrapolabili ed ‘impiantabili’ in soggetti normali. L’organismo si serve infatti di alcuni meccanismi di protezione in grado di mantenere il pH ematico in un range molto ristretto: 7.35-7.45.
    Il primo meccanismo consiste nella stimolazione del pancreas, da parte degli stessi corpi chetonici, a produrre una piccola quantità di insulina: questa fa si che il rilascio di acidi grassi dagli adipociti diminuisca dunque siano meno disponibili al fegato per la chetogenesi; in secondo luogo agisce direttamente sul fegato, diminuendone la produzione di corpi chetonici; infine fa si che ci sia un aumento dell’escrezione urinaria di corpi chetonici.
    Il secondo meccanismo consiste nell’effetto diretto che i corpi chetonici hanno sul rilascio di acidi grassi da parte del tessuto adiposo, che con chetonemia pronunciata diminuisce.
    Il quadro che da tutto questo risulta è che, mentre i diabetici se non controllati possono presentare valori altissimi di glicemia (oltre 300 mg/dl) insieme a produzione massiva di corpi chetonici (oltre 400 g/die) con conseguente alta concentrazione degli stessi ed instaurarsi dell’acidosi, i non diabetici presentano una cospicua produzione di corpi chetonici solo se la glicemia è bassa, che però non raggiunge mai livelli esorbitanti (180 g/die) cosicché il pH non scenda mai sotto valori critici (grazie anche ai meccanismi appena descritti).
  • Che in una dieta low-carb si perdano molti liquidi è vero, ma che si perdano esclusivamente liquidi e massa muscolare è un concetto assolutamente poco corretto. Una dieta low-carb si verifica una deplezione (termine naif per dire svuotamento) del glicogeno muscolare ed epatico. Poiché il glicogeno nell’organismo trattiene acqua (per ogni grammo di glicogeno sono presenti 2.7 grammi di acqua) e può arrivare ad un totale di 400 g (e oltre, in alcuni casi), è facilmente intuibile che eliminarlo significa togliere qualcosa come 1 kg, 1 kg e mezzo di peso. Poiché, inoltre, metà (e oltre, negli sportivi) del glicogeno organico si trova nei muscoli, 0.5-0.7 kg persi per la sola deplezione di glicogeno sono kg che vanno via dal tessuto muscolare. Effettivamente, c’è una perdita di massa magra, intesa come peso del tessuto magro, ma non perdita del tessuto magro in sé, intesa come perdita di proteine. In una dieta chetogenica, c’è un’ulteriore perdita di acqua dovuta all’aumentata escrezione urinaria di liquidi (per eliminare i corpi chetonici in eccesso, come descritto sopra).
    Infatti, come vedremo, la dieta chetogenica ha la caratteristica di risparmiare le proteine corporee, perché dopo un certo periodo di adattamento, queste vengono utilizzate solo in minima parte per la produzione di glucosio.
    Sulla questione del peso riacquistato, innanzitutto c’è da dire che sul lungo termine il corpo tende ad oscillare intorno allo stesso peso e dunque mantenere il peso perso risulta molto difficile anche se il risultato è stato ottenuto con la fantomatica Dieta Mediterranea (che nessuno è riuscito ancora a spiegarmi cosa in realtà sia; sono aperto e disponibile a chi voglia proporsi).
    In secondo luogo, come una deplezione di glicogeno porta ad una rilevante perdita di peso, così un suo ripristino fa registrare un aumento di 1-2 kg. In ultimo ma non meno importante, le persone che ingrassano nuovamente dopo la perdita di peso lo fanno perché, stressati dal cronico abbassamento dell’apporto calorico, cominciano a mangiare tanto e male. Chi sa gestire bene la dieta sul lungo termine, con qualche sapiente accorgimento e sa gestire la fase di transizione, ha molte più possibilità di mantenere la forma.
    Altro punto da contestare è quello relativo a quanto velocemente si perde il peso, la tipica frase trita, ritrita e macinata “Meglio poco e graduale” perde ogni valore nel caso in cui si sappiano gestire le cose durante, subito dopo e molto dopo una perdita repentina di peso, come detto poco sopra.

Introduzione

La dieta chetogenica nasce con l’intento di ridurre gli attacchi di epilessia nei bambini affetti da questo grave disturbo del sistema nervoso. Fu infatti osservato che il digiuno riduceva la frequenza degli attacchi, ma ovviamente non poteva essere supportato a lungo. Come fattore causale di questo fenomeno, fu indicato l’utilizzo da parte del sistema nervoso centrale dei corpi chetonici anziché del glucosio come fonte energetica principale. Come fare, dunque, a ‘simulare’ il digiuno pur introducendo calorie per il sostentamento e proteine per la crescita? La risposta fu la dieta chetogenica.

Anche nell’obesità la dieta chetogenica si è dimostrata un’arma vincente, dopo aver capito che il digiuno produceva grande perdita di peso con soppressione dell’appetito (i corpi chetonici danno questo effetto). Poiché però il digiuno completo (niente altro che acqua, vitamine e sali minerali; in alcuni studi alcuni grandi obesi sono stati tenuti a digiuno per lunghi periodi, i.e. mesi) portava ad un’eccessiva perdita delle proteine muscolari, per ottenere il miglior compromesso tra perdita di grasso e perdita di massa magra è stata ideata una dieta a base di sole proteine, acqua, vitamine e sali minerali: la protein sparing modified fast, PSMF. Questo protocollo di ‘digiuno modificato che risparmia le proteine’ è utile quando si deve ottenere una cospicua perdita di peso (o meglio, di grasso; a tal proposito rimando alla lettura di Dimagrimento e ricomposizione corporea) nel più breve tempo possibile ed un modo per implementarlo correttamente è descritto da McDonald in The Rapid Fat Loss Handbook. A Scientific Approach to Crash Dieting.

La dieta chetogenica si è spostata dall’ambito clinico al mercato mondiale grazie al libro del Dottor Atkins Dr. Atkins Diet Revolution, ed al mondo dello sport grazie ai lavori di quelli che considero degli Autori con la ‘P’ maiuscola (si, lo so che la ‘p’ non è nella parola ‘autori’; ma avete capito): Michael Zumpano, Dan Duchaine, Mauro Di Pasquale, Lyle McDonald (conosciuti nel mondo della nutrizione e dello sport proprio per i loro approcci low-carb o ciclici), nonché Alan Aragon, Martin Berkhan ed altri (con minor impronta ‘low-carbiana’ ma che hanno contributo in maniera decisiva ad ampliare le conoscenze in quella direzione).

Il successo delle diete chetogeniche ed alcune mis-concezioni

Il boom delle diete chetogeniche si è verificato quando sono ricomparse (la dieta chetogenica originale del Dottor Wilder è del 1921) anche in ambito clinico, intorno agli anni ’90. Nonostante una lunga silente attesa, la diffusione è stata dilagante semplicemente perché sono efficaci e facili da seguire.

Rispetto alle diete ‘classiche’, con ridotto apporto di grassi, infatti, le diete chetogeniche permettono una scelta alimentare ampia (nonostante quanto si possa pensare), includendo alimenti che generalmente vengono considerati ‘non dietetici’ perché ricchi di grassi. Inoltre, a parità di calorie introdotte, una dieta povera di carboidrati è più saziante; d’altronde, è stato osservato che soggetti liberi di mangiare alimenti contenenti solo proteine e grassi, riducono spontaneamente i loro introiti in modo significativo, creando naturalmente un deficit calorico.

Non bisogna tuttavia pensare che togliere i carboidrati faccia magicamente dimagrire: l’equazione “calorie che entrano Vs. calorie che escono” è sempre valida. Semplicemente, mangiare proteine e grassi ad libitum fa si che il consumo calorico sia inferiore rispetto a consumare una dieta libera completa di tutti i macronutrienti, come appena detto.

Tra gli errori trattati nella premessa, non ho incluso quello che adesso presento qui. Il motivo è semplice: mentre quegli errori hanno a che fare con qualcosa di più specifico, questo ha a che fare con nozioni basilari di nutrizione.

Spiego il concetto con un esempio sperando sia chiaro e chiarito una volta per tutte. Una persona ingerisce il 50% delle kcal totali da proteine. Domanda: la dieta della persona suddetta, è iperproteica? Risposta: sarà chiara nella seconda parte, quando tratterò, tra le altre cose, dell’introito proteico durante una dieta chetogenica (intanto, avanti pure con gli interventi utilizzando il modulo dei commenti sotto).

Si conclude dunque qui la prima parte; la seconda parte tratterà gli argomenti teorici alla base della chetogenesi e quelli utili per impostare una dieta chetogenica. La terza ed ultima parte riguarderà invece gli aspetti prettamente pratici e di applicabilità, riguardanti il ‘set-up’, nonché alcune modifiche della dieta stessa in ambito sportivo.

 

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